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Parliamo di welfare

Sentiamo spesso parlare di welfare un vocabolo che è entrato nel nostro linguaggio quotidiano di cui forse non conosciamo i diversi significati attribuiti.

In effetti abbiamo una parola italiana che esprime con più “dolcezza” il significato di questa parola che è “benessere”, e la cura del benessere è tra i principi sociali richiamati in più articoli della nostra costituzione.

Al vocabolo welfare invece attribuiamo un significato prevalentemente di carattere economico. In effetti l’enciclopedia Treccani descrive il welfare come “l’insieme di interventi e di prestazioni erogati dalle istituzioni pubbliche e finanziate tramite entrate fiscali”. Specifica anche che i modelli di welfare sono “gli strumenti tipici per perseguire gli obiettivi del welfare come: corresponsione di denaro ….. erogazione di servizi in natura …. regolamentazione di alcuni aspetti dell’attività economica …. rispondono alla teoria politica secondo cui occorre individuare con precisione i rischi sociali e ridurre al minimo l’impegno dello stato.

Ma cosa vuol dire tutto questo? Perché c’è la necessità di istituire un sistema welfare?

La società ha bisogno di essere tutelata dai rischi nella quale è coinvolta.

Ad esempio, difendere la sicurezza sul lavoro significa non solo tutelare gli individui ma anche il reddito che ne deriva e che concorre al beneficio collettivo. Difendere la vecchiaia significa provvedere a mantenere le persone che hanno contribuito al benessere comune e che ora non sono più in grado di produrre, ma comunque con il loro risparmio e i loro investimenti continuano a fornire benefici alla società.

In ogni tempo l’evoluzione della società ha proposto delle sfide per la crescita ed il mantenimento del benessere sociale.

Ma quali sono le sfide di oggi?

Nel 1951 c’era meno di un anziano per ogni bambino. Nel 2021 per ogni bambino si contano più di 5 anziani. Questo significa che stiamo diventando una popolazione vecchia. Significa anche che ci sono sempre meno persone “attive”; cioè che lavorano, producono e pagano delle imposte che servono allo stato per far funzionare i servizi necessari ai cittadini, occorre trovare soluzioni per proteggere la società.

I problemi sociali dovuti all’invecchiamento degli italiani comportano un aumento del numero di indennità post lavorative (pensioni) e la maggior fragilità della popolazione comporta un aumento della spesa sanitaria in cura della salute e della non autosufficienza. La spesa a carico dello stato può diventare insostenibile venendo meno le entrate necessarie a sostenere le spese necessarie a garantire pensioni e salute adeguate.

Oggi si lavora a nuove modalità di welfare alimentati da sistemi di defiscalizzazione che lo stato regolamenta con apposite leggi sgravandolo dal prestare servizi che non è più in grado di sostenere.

Nei primi anni del 2000 sono state istituite leggi per la nascita di fondi pensionistici e sanitari che agevolano aziende e lavoratori e permettono ad entrambi vantaggi economici e l’abbattimento del cosiddetto cuneo fiscale. In pratica il lavoratore gode in una certa misura di non veder gravato il suo risparmio da tasse e l’azienda di dover sostenere contributi.

Non solo attraverso una serie di regolamenti aziendali le società mettono a disposizione dei lavoratori delle somme di denaro defiscalizzate (prive di tasse per il lavoratore e di contributi per le aziende) che permettono di sostenere le spese che contribuiscono al benessere dei cittadini come: spese per l’educazione e la formazione, attività ricreative (viaggi, palestre, musei, abbonamenti a riviste o giornali), assistenza sociale (assistenza domiciliare, badanti, RSA), Assistenza sanitaria (esami, visite, terapie e cure), culto (pellegrinaggi)

Naturalmente tutto questo non è che un percorso per sostituire gli interventi totalmente pubblici in interventi misti tra pubblico e privato. Questo è anche un modo per migliorare quella che è la distribuzione della ricchezza.

Nel 2022 si stima che l’insieme delle politiche sulle famiglie abbia ridotto la diseguaglianza (misurata dall’indice di Gini) da 30,4% a 29,6% e il rischio povertà dal 18,6% al 16,8%.

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